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domenica 29 marzo 2015

Nutrigenomica: scienza alimentare per la salute e il benessere di domani

Studiare come il cibo può modificare l’attività dei geni spalanca nuovi orizzonti di ricerca. All’Expo una mostra sul tema e sul rapporto cibo e mente 


Sapevate che ad ogni contatto col cibo nel nostro cervello si attivano più di cento milioni di neuroni? Quello tra mente, nutrizione ed emozioni è un rapporto complesso ed affascinante: i meccanismi che innescano lo stimolo del cibo e che ci portano a desiderare, scegliere e gustare quello che mangiamo ogni giorno si generano addirittura sin dal concepimento.
Infatti proprio nei nostri primi mille giorni di vita, quando la nutrizione è fondamentale sia per la salute del feto (e poi del bambino) sia della madre, cominciano a determinarsi preferenze e gusti che ci accompagneranno durante la vita.
Nestlé e l’Istituto Auxologico Italiano hanno ideato per EXPO 2015 una mostra interattiva che spiegherà con il linguaggio visivo proprio i segreti della relazione tra cibo e mente e come nascono le nostre predilezioni a tavola.
Però, come ben sappiamo, alcune abitudini alimentari sono dannose per la salute. Anche perché, come si è scoperto di recente, inducono alcuni dei nostri geni a “funzionare” in modo diverso.
“Per moltissimo tempo abbiamo pensato che il cibo fosse solo questione di calorie”, dice Cecilia Invitti, Direttore Dipartimento di Scienze Mediche e Riabilitative ad indirizzo Endocrino-Metabolico e Direttore del Laboratorio di ricerca in Diabetologia, IRCCS Istituto Auxologico Italiano .“A portarci un po’ di chiarezza è arrivata la nutrigenomica, definita la “medicina del futuro”, che studia gli effetti che gli alimenti hanno all’interno delle nostre cellule e che aprirà nuove prospettive alla scienza della nutrizione”.
Dottoressa Invitti, di cosa si occupa la nutrigenomica?
Studiamo l’influenza del cibo nel modificare l’espressione genica. Non significa che gli alimenti alterano il nostro Dna, ma che alcuni nutrienti possono, sul lungo periodo, modificare l’attività di un gene, cioè la sue espressione, cambiando la sua capacita di produrre proteine. Se un gene è più o meno espresso si modifica la produzione (che può aumentare o ridursi) delle proteine che dipendono da questo gene, per esempio gli enzimi che regolano il metabolismo, con conseguenti cambiamenti nel modo di digerire grassi o carboidrati.
Ci può fare un esempio
Nel nostro laboratorio di biologia molecolare esaminiamo i cambiamenti che si verificano nel modo di funzionare del tessuto adiposo come conseguenza della variazione dell’espressione di geni fondamentali nel regolare il metabolismo di grassi, zuccheri e l’infiammazione che è alla base di molte malattie.
Questi cambiamenti di espressione genica possono essere trasmessi a future generazioni?
Variare l'alimentazione in gravidanza apporta cambiamenti anche al metabolismo del feto. È stato dimostrato che la trascrizione di alcuni geni implicati nel metabolismo degli zuccheri è diversa dopo un calo di peso ottenuto tramite bypass gastrico non solo nella madre, ma anche nei figli nati successivamente
Quali alimenti influenzano l’espressione genica e con quali conseguenze?
Alcuni alimenti possono modificare lo stato infiammatorio del nostro organismo, il funzionamento del sistema immunitario e del sistema nervoso centrale. Tra questi la colina, un nutriente essenziale contenuto nelle uova, arachidi, lattuga fegato, e l’acido folico (nelle verdure, legumi e frutta), la vitamina B12 (si trova nel fegato, cozze, sgombri) e la ginestrina (presente nella soia). Una dieta ricca di grassi può portare ad un aumento dell’appetito perché altera l’attività dei geni che codificano i recettori della melacortina, uno specifico ormone associato all’insorgere dell’obesità.
Lei ha definito la nutrigenomica “la medicina del futuro”. Perché?
Possiamo dire che gli studi sono ancora agli albori, ma il campo di ricerca e le opportunità di fare nuove scoperte per il progresso della medicina sono enormi. Ci permetterà di capire quali cibi aiutano a ridurre l’insorgenza di malattie. E non solo. Grazie a studi in questo ambito ora sappiamo che l’assunzione di antibiotici nei primi sei mesi di vita dei bambini può cambiare la composizione del microbiota, cioè l’insieme dei milioni di miliardi di microorganismi presenti nell’intestino, con la conseguenza di favorire l’aumento di peso già nell’età infantile.
Per scoprire ulteriori curiosità, in maniera divertente e multisensoriale, su come il cibo interagisce con la nostra mente e il nostro corpo può essere di aiuto ad alimentarci in modo corretto, si potrà visitare l’esposizione interattiva, allestita nel Padiglione Svizzero ad EXPO 2015 e realizzata dal Nestlé Research Center, la più grande struttura privata di ricerca in campo nutrizionale al mondo, il Nestlé Institute of Health Science, specializzato nella ricerca finalizzata allo sviluppo di fabbisogni nutrizionali specifici e l’Istituto Auxologico Italiano, eccellenza del “Made in Italy” nella scienza della alimentazione.
Dalla condivisione delle rispettive conoscenze scientifiche è nato un percorso di visita fruibile con diverse possibilità di esperienza e livelli di approfondimento: un viaggio a tappe che toccherà temi ampi (crescita e sviluppo del cervello, fame e sazietà, il ruolo dei sensi e delle emozioni nella nutrizione e salute e cibo: il futuro), lasciando al visitatore la libertà di fare la sua personale esperienza, assecondando le proprie curiosità e i propri interessi. La mostra resterà aperta durante tutta la durata dell’Esposizione Universale da 1 maggio a 31 ottobre.

mercoledì 25 marzo 2015

La dieta dell'eterna giovinezza

Verdura sempre, carne solo da una certa età. Più fragole e peperoncino, capaci di convincere il corpo a ridurre le calorie
La dieta dell'eterna giovinezza
Una dieta può essere per sempre. E può anche allungarci la vita. Siamo abituati a pensare alle diete come a brevi periodi di sacrifici per perdere peso. Meno durano, meglio è. Fare attenzione ogni giorno a quello che finisce nel piatto, però, non solo ha effetti sulla bilancia ma può anche aiutare a vivere a lungo. È nel cibo che si trova l’elisir di lunga vita: un’alimentazione equilibrata è il miglior trattamento per prevenire diabete, tumori e malattie cardiovascolari. La regola generale è seguire un regime alimentare a base di frutta, verdura, cereali integrali e grassi di buona qualità. Ma se l’obiettivo è diventare ultracentenari, bisogna anche tagliare le proteine di carne e formaggi e ridurre le calorie. Nel 2014 una ricerca coordinata da Valter Longo, a capo dell’istituto per la longevità dell’Università della California del Sud, ha dimostrato come gli adulti che consumano grosse dosi di proteine animali hanno una maggiore probabilità di sviluppare problemi al cuore, tumori e demenze. Ci si ammala di più, si invecchia prima e si vive di meno. Una dieta ricca di frutta e verdura, al contrario, tiene alla larga molte patologie e assicura un’aspettativa di vita più lunga. «Questo avviene perché le cellule del nostro corpo “mangiano” quantità minori di amminoacidi delle proteine, restando in uno stato di quasi quiescenza e vivendo così più a lungo», spiega Giuseppe Passarino, docente di Genetica dell’invecchiamento dell’Università della Calabria, che ha partecipato alla ricerca guidata da Longo. «In presenza di maggiori quantità di proteine, le cellule lavorano di più e hanno un’esistenza più breve». Molte diete dimagranti, dalla paleo alla Dukan, puntano su un consumo ridotto di carboidrati abbinato a un elevato apporto di proteine. «Si pensa che sia il modo migliore per perdere peso e massimizzare le performance fisiche. Quello che non si sa è che sul lungo tempo dosi eccessive di proteine accelerano l’invecchiamento del corpo», dice Passarino. Il responsabile di questo processo è l’ormone della crescita IGF-1. Stimolato dalle proteine, questo ormone ha un ruolo centrale per lo sviluppo dell’individuo nelle prime fasi della vita, ma in età adulta non fa altro che accelerare l’usura delle cellule.

Limitare le proteine animali diventa così il modo migliore per controllare l’avanzare dell’invecchiamento. Ma dopo i 65-70 anni il metabolismo cambia e l’effetto negativo dell’apporto proteico diminuisce, anche grazie a un calo fisiologico dell’ormone della crescita. «Così si spiega perché la Calabria e l’isola giapponese di Okinawa siano le aree in cui si concentra il maggior numero di centenari», spiega Passarino. «Entrambe sono le regioni più povere dei Paesi più longevi al mondo. Per molti anni queste popolazioni hanno avuto una dieta povera di proteine animali, cominciando a mangiare molta carne solo dopo i 70 anni. In pratica, hanno condotto involontariamente una dieta perfetta, e il risultato è che in tanti superano la soglia dei cento anni». La longevità, certo, in parte dipende da una genetica favorevole. Ma la variabile che meglio possiamo controllare resta l’alimentazione. Il piatto della longevità è composto per tre quarti da vegetali e cereali, il resto è occupato dalle proteine delle carni bianche e del pesce. Una ricerca durata 12 anni e pubblicata sul British Journal of Cancer ha dimostrato che vegetariani e vegani hanno il 45% delle probabilità in meno di ammalarsi di cancro. Nelle donne, in particolare, i cibi che aiutano a vivere più a lungo sono le verdure a foglia verde come bietole, spinaci e insalata, associate a una minore insorgenza del tumore al seno. Povera di carne rossa e ricca di pasta, frutta, verdura, legumi, olio d’oliva e pesce, la dieta mediterranea è di certo un’alleata della longevità. Gli studi che la associano a un ridotto rischio cardiovascolare e di sviluppo del cancro sono moltissimi. Nel 2009 un gruppo di ricercatori inglesi ha assegnato a 7.447 persone a rischio cardiovascolare tre tipi di diete: dieta mediterranea con l’aggiunta di una maggiore quantità di olio d’oliva, dieta mediterranea con l’aggiunta di nocciole, e una normale dieta ipocalorica con pochi grassi. Per i due gruppi
associati alla dieta mediterranea il rischio di infarti e ictus si riduceva del 30%. I risultati furono così netti, che la ricerca venne subito bloccata per evitare di procurare danni ulteriori al terzo gruppo. Non solo. In uno studio pubblicato di recente sul British Medical Journal, un team di ricercatori statunitensi ha dimostrato che la dieta mediterranea agisce direttamente sui telomeri, i cromosomi associati alla longevità, rendendoli più lunghi e quindi più durevoli.

Con la crisi, però, anche in Italia la dieta mediterranea è stata abbandonata soprattutto dalle fasce di reddito più basse, a favore di cibi meno costosi ma anche più calorici.
E questo ha avuto ricadute anche sulla aspettativa di vita media. Maria Benedetta Donati, membro del comitato scientifico della Fondazione Veronesi, ha monitorato la dieta di 25mila cittadini del Molise tra il 2005 e il 2010. Il risultato è che la minore diffusione della dieta mediterranea ha portato, come spiega, a «un progressivo peggioramento delle condizioni di salute, con una più elevata prevalenza dell’obesità e una maggiore mortalità tra i diabetici». Colpevoli sono anche le calorie, da tenere a bada se si vuole invecchiare bene. Una dieta ipocalorica facilita i meccanismi di difesa contro le malattie degenerative. Alzheimer in testa. Scienziati e nutrizionisti, non a caso, raccomandano ogni tanto una giornata di digiuno. Astenersi dai piaceri dalla tavola a intermittenza abbasserebbe i livelli dell’ormone IGF-1 riducendo anche il rischio di tumori. «Gli studi dimostrano che se togliamo il 30% dell’apporto calorico a qualsiasi specie, dai lieviti ai macachi, si ha un allungamento della vita e una minore incidenza di malattie», spiega Lucilla Titta, nutrizionista responsabile con Giuseppe Pellicci, direttore dell’Istituto europeo di oncologia, del progetto Smart Food, che studia quali principi nutritivi degli alimenti favoriscono la longevità. «I cibi smart», spiega Titta, «sono gli alimenti che contengono i composti mimetici della restrizione calorica, cioè sostanze di origine vegetale che hanno sull’organismo lo stesso effetto della riduzione di calorie, e che quindi sono in grado di allungare l’aspettativa di vita». Una specie di “pillole della longevità”, concentrate nel peperoncino, nelle fragole, nei mirtilli, nell’uva rossa, nelle cipolle e nelle arance. I nomi sono poco conosciuti e difficili da pronunciare: capsaicina, fisetina, resveratrolo. Ma se associati a una dieta corretta e alla giusta attività fisica, possono essere il passaporto per una lunga vita. Al di là dei cibi smart, il segreto per controllare le calorie resta comunque la diminuzione di dolci e zuccheri. Non a caso, l’Organizzazione mondiale della sanità da poco ha chiesto di ridurre dal 10 al 5% la soglia dell’apporto giornaliero di zucchero. «La verità è che il nostro corpo non ha bisogno di per sé di assumere zuccheri semplici», spiega Lucilla Titta. «Basta mangiare frutta due o tre volte giorno». Gli zuccheri contenuti in mele, pere e kiwi non alzano il livello di glicemia nel sangue, non aumentano il rischio di diabete e assicurano una vita più lunga. Meglio di un cucchiaino di zucchero nel caffè.

Il piatto perfetto
L’Harvard Medical School di Boston ha ribaltato la classica piramide alimentare, rappresentando in un piatto la composizione ideale che dovrebbe avere ogni pasto della giornata, dalla colazione alla cena. Per mantenersi in salute, un piatto dovrebbe essere composto per metà da frutta e verdura, prediligendo quella di stagione e variando i colori. Gli
onnipresenti di ogni pasto dovrebbero essere cereali e derivati integrali, inclusi pane, pasta, riso, orzo e farro. L’ultimo spicchio, quello più piccolo, è occupato dalle proteine. Ma è importante variare le fonti: sì al pesce azzurro e ai legumi tre volte alla settimana; carne bianca, uova e latticini (meglio freschi e magri) non più di due volte alla settimana. La carne rossa va limitata. I salumi dovrebbero essere del tutto evitati. Ultimo tocco: condire i piatti con olio extravergine di oliva a crudo, e insaporire con spezie ed erbe aromatiche. Per arricchire di sapore, e di salute, ogni pasto.

domenica 22 marzo 2015




Eco beauty, è boom di marchi green. Dal Giappone alla Siberia. E in Italia con Davines arriva anche Slow Food

Pomodoro, cetriolo, rosa, bergamotto, la differenza è nell'alta concentrazione. Organico, vegetariano, botanico soprattutto sostenibile


  • © 4FR iStock.
  • Davines Essential Haircare
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  • © 4FR iStock.
C'è chi punta sui minerali. E' il caso del marchio giapponese ancora sconosciuto in Italia, ma già adocchiato dalle green star di Cannes e degli Oscar: McCoy (www.mccoy-beauty.com) , prodotti che sono molto concentrati e puntano all'antiage ma soprattutto ai trattamenti anticellulite per il corpo. Su tutti un panetto all'apparenza di sapone che si usa su viso e corpo e non si sciacqua ma che lascia la pelle completamente remineralizzata.
Impronta botanica per Natura siberia, brand russo che supporta piccole tribù locali producendo oli per stimolare la crescita dei capelli o scrub corpo a base di zucchero e erbe selvagge siberiane, frutti di bosco, arnica, menta
Dalla fattoria di famiglia nel Vermont Tata Harper, famosa in Usa tutta da scoprire in Italia, ha costruito un impero fatto di latti detergenti profumati, creme per il viso e il corpo con la caratteristica della concentrazione degli elementi attivi, da 9 a 29, che vanno dal melograno al bergamotto alla scorza di salice ricca in beta idrossiacidi.
Sono creme da eco garden quelle che arrivano dalla Polonia. Il brand è Ava Premium ed ha tutte le certificazioni del caso per questi trattamenti basati sui prodotti dell'orto: maschera/peeling riso e cetriolo, crema visto al pomodoro, crema ai piselli. 100 per 100 origine naturale. Una produzione simile è proposta dal brand israeliano Secret of youth (www.s-of-y.com) cosmetici naturali realizzati con frutti e vegetali buoni da mangiare buoni per nutrire la pelle come cetrioli, pomodori, mela e agrumi.
Sono piccolissime produzioni tutte vegetariane e organiche quelle inglesi di Lulu e Boo con lavanda e bergamotto autoprodotti, mentre un altro brand, stavolta francese, Une nuite a Bali punta su vitamine e minerali antiossidanti in altissima concentrazione. Tra i suoi prodotti l'olio secco ylang ylang e gelsomino con riso
Dalla Spagna,  Rosazucena propone beauty da agricoltura biologica puntando come ingrediente principe nell'olio di rosa mosqueta illuminante e antiage che controlla l'iper pigmentazione e la formazione di macchie scure. Sempre dalla Spagna (ma made in Switzerland) c'è The Lab Room, olio per il viso e per il corpo e trattamenti con cetriolo geranio ciliegia ma soprattutto alta concentrazione di rosa.
E l'Italia? Anche qui è boom. Questo mini-tour di scouting finisce con un brand italiano già noto e di qualità, da sempre impegnato nella bellezza sostenibile: Davines. Ora, per la linea Essential Haircare,  si allea con Slow Food e propone formulazioni che contengono attivi provenienti da coltivazioni italiane a rischio di estinzione che l'azienda, sostenendo il progetto Presìdi Slow Food, contribuisce a mantenere in vita. La linea, adatta per varie tipologie di capelli, contiene estratto di boccioli di Cappero di Salina, proveniente dalla fattoria del Sig. Salvatore D’Amico di Leni, Isola di Salina (ME); estratto di melone Giallo Cartucciaru di Paceco, proveniente dalla fattoria della Sig.ra Francesca Simonte di Dattilo (TP); estratto di Pomodoro Fiaschetto di Torre Guaceto dalla fattoria Calemone del Sig. Mario di Latte di Serranova di Carovigno (BR); estratto di sedano rosso di Orbassano dalla fattoria dei Sig.ri Giancarlo e Doriano Pozzatello di Orbassano (TO); estratto di Mandorla di Noto dalla fattoria del Sig. Carlo Assenza di Noto (SR); estratto di Oliva Minuta di Sicilia dalla fattoria del Sig. Carmelo Messina di Ficarra (ME); estratto di Grano Saraceno della Valtellina dalla fattoria del Sig. Patrizio Mazzucchelli di Teglio (SO); estratto di semi di lenticchia di Villalba dalla fattoria del Sig. Francesco Di Gesù di Villalba (CL); estratto di radice di Rapa di Caprauna dalla fattoria della Sig.ra Donatella Ferraris di Caprauna (CN)

mercoledì 18 marzo 2015

Una risonanza magnetica per scoprire il vero amore

 

 Quasi per definizione, risulta impossibile dare una forma concreta alle idee astratte e attribuire una valenza fisica ai nostri sentimenti; per quanto chiunque associ i concetti di “giustizia”, “felicità” o “amore” ad una serie di immagini mentali e ad altrettanti ricordi, nessuno è in grado realmente di riempire di contenuti quelli che sono semplicemente enormi scatoloni concettuali, personalizzabili a piacere.

Nessuno, o quasi; stando a quanto sostiene un'equipe di ricercatori facenti capo alla cinese University of Science and Technology, l'ampia gamma di sensazioni che comunemente associamo al concetto di amore risulterebbe perfettamente quantificabile, misurabile e visualizzabile mediante il ricorso ad una comune risonanza magnetica.
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Il team di scienziati cinesi è giunto a questa conclusione dopo aver analizzato nel dettaglio l'attività cerebrale di un campione statistico pari a 100 soggetti, monitorando l'attività neuronale dei partecipanti al test durante differenti fasi della loro vita e mettendo infine in relazione i dati relativi ad ogni partecipante al test, con l'intento di stabilire l'esistenza di un principio universale.
Dall'esperimento è emerso che ogniqualvolta sosteniamo di essere innamorati, nel nostro cervello si attivano 12 diverse aree legate alla produzione di ossiitocina, dopamina, vasopressina e altri neurotrasmettitori in grado di produrre nel nostro organismo quella sensazione di eccitazione, gratificazione e ricompensa suscitata dal complesso dei sentimenti amorosi, di modo che l'emozione in questione risulta non solo ampiamente tracciabile, ma anche valutabile in base ad un metro atto a stabilirne l'esistenza.
In sostanza, scoprendo che l'amore attiva determinati centri cerebrali, i medici cinesi capitanati dal dottor Xiaochu Zhang sono riusciti a mettere a punto una sorta di test organico, in grado di determinare se i sentimenti che stiamo provando in un dato momento siano riconducibili al complesso della sfera amorosa o meno, facendo leva sulla capacità di una macchina per la risonanza magnetica di evidenziare se i centri cerebrali attivi nel nostro cervello risultano sovrapponibili a quelli individuati come determinati per poter parlare di effettivo amore.
Mentre i ricercatori cinesi già pensano ad un'ampia gamma di utilizzi pratici per la loro scoperta, in grado di spaziare da impieghi processuali a cause di divorzio, non resta che constatare tristemente come la volontà di riempire di contenuti gli immensi contenitori astratti che animano la nostra fantasia giungerà un giorno a dare forme, colori e coefficienti a tutte quelle meravigliose idee che ci appassionano proprio perché sfuggenti e prive di una fisicità oggettiva.

domenica 15 marzo 2015

L'omeopatia funziona? Uno studio australiano dice "no"

"Non solo non c'è un prova attendibile dell'efficacia dell'omeopatia per curare una malattia, non c'e' neanche una ragione fondata per dire che funzioni meglio di una pillola di zucchero. Eppure le persone che vi si affidano sono tante". E' la conclusione sulla medicina dolce di un rapporto redatto dal National Health and Medical Reseach Council (Nhmrc) australiano, il massimo organismo nazionale per la ricerca medica, che ha condotto una maxi review su 225 pubblicazioni in tema di omeopatia. Il responso e' stato diffuso oggi dopo essere stato rivisto da una societa' indipendente, e ripreso dai principali media internazionali. Paul Glasziou, presidente del Nhmrc Homeopathy Working Committee, auspica che alla luce di questo report le assicurazioni private smettano di offrire sconti sui trattamenti omeopatici, e che i farmacisti rivedano di conseguenza i loro stock. Lo specialista mette le mani avanti: "Ci saranno persone convinte che tutto questo sia un complotto dell'establishment" per favorire altri interessi a discapito dell'omeopatia, "ma speriamo vi siano anche molte persone ragionevoli che possano riconsiderare la vendita, l'utilizzo e la distribuzione di questi prodotti". Proprio come e' successo in Gb, ricorda, dopo la stroncatura della Camera dei Comuni nel 2010. Secondo gli autori del rapporto, gli studi dai quali emerge l'efficacia dell'omeopatia sono lavori di scarsa qualita' scientifica, con gravi carenze nel modo in cui sono stati disegnati e senza un numero sufficiente di partecipanti che autorizzi a dire, appunto, "che i prodotti omeopatici funzionino meglio di una pillola di zucchero". L'analisi degli esperti australiani ha riguardato anche 57 revisioni sistematiche: studi che analizzano tutte le ricerche di qualita' disponibili su una determinata materia, per arrivare a una conclusione di sintesi.
Ken Harvey, esperto di politiche mediche e farmaceutiche impegnato nella tutela dei consumatori, fa notare come i college privati spendano migliaia di dollari per organizzare corsi di omeopatia. Lezioni che si augura gli studenti possano ora evitare, dopo i risultati del nuovo rapporto. Per lo stesso motivo, aggiunge, l'ente governativo Teqsa (Tertiary Education Quality Standards Agency) dovrebbe smettere di accreditare corsi sull'omeopatia: "Non ho problemi - tuona Harvey - se un istituto privato decide di organizzare lezioni che insegnano a leggere dentro una sfera di cristallo, oppure di iridologia o di omeopatia, se esistono persone abbastanza pazze da pagare per seguirle. Sarebbe una loro decisione. Pero' se i corsi vengono approvati da un organismo istituzionale, allora e' un'altra storia. E rappresenta un problema reale".Un portavoce del Teqsa puntualizza che un comitato di esperti indipendenti ha il compito di valutare se un corso risponde o meno ai requisiti richiesti per l'accreditamento. La revisione viene fatta ogni 7 anni e quindi, finche' non scadra' questo periodo, i corsi di omeopatia gia' approvati non potranno essere rivalutati neanche dopo le conclusioni del Nhmrc. (Agenzia)
Replica al report anche l'Associazione australiana di omeopatia (Aha), che fa notare come "milioni di cittadini" del Paese facciano ricorso a questi rimedi. L'Aha raccomanda inoltre al Nhmrc di "adottare un approccio piu' complessivo nell'analisi dell'efficacia dell'omeopatia. Un metodo in cui si consideri una valutazione economica di larga scala sui benefici di un sistema piu' integrato, che rispetta e sostiene la scelta dei pazienti nel decidere per la propria salute". Dal canto suo, il Nhmrc sostiene che non esistono stime attendibili sul numero di australiani che oggi utilizzano l'omeopatia, anche se una revisione del 2009 dell'Organizzazione mondiale della sanita' parlava di una spesa annuale di 9,59 milioni di dollari.

martedì 10 marzo 2015

Impasto con il "Cuettu" salentino, nasce la "Pizza più Gusto" che fa bene alla salute

Il nuovo prodotto gastronomico made in Salento è stato presentato oggi a Modugno: si tratta di un un'iniziativa targata "ExpoSalento2015".


Si chiama “Pizza Più Gusto” e la sua particolarità è di avere nell'impasto una dose di “Cuettu”, il vincotto dolce d’uva tipico del Salento.
La novità gastronomica made in Salento è stata presentata oggi presso lo Scarangelli Hotellerie di Modugno dall’Associazione Pizzaioli Professionisti in collaborazione con le aziende appartenenti alla rete informale “Più Gusto – Vincotto Experience” con un introduzione dal titolo “Il valore antico del Vincotto” a cura del professore Luigi De Bellis, direttore del DiSTeBA dell’Università del Salento.
Il “Cuettu”, l’ingrediente che caratterizza l’impasto della “Pizza Più Gusto – Vincotto Experience”, è mosto cotto d’uva della consistenza di uno sciroppo dal gusto dolce, rotondo e aromatico, particolarmente ricco in polifenoli, antiossidanti naturali presenti nell’uva rossa in particolare.
“Indagini epidemiologiche” spiega il professore De Bellis “hanno portato alla conclusione che l’assunzione di alimenti ricchi in polifenoli porta ad una riduzione dell’incidenza di malattie quali le malattie cardiovascolari, il diabete mellito ed alcuni tipi di cancro”.
Gli impasti sono realizzati dal presidente Luigi Stamerra e dagli istruttori della Associazione Pizzaioli Professionisti, di cui fa parte anche il salentino Mauro Ripa.
L'evento è la terza iniziativa, dopo la Fòcara di Novoli ed il corso “Cucina di recupero con Andy Luotto”, ad essere griffato “ExpoSalento2015”, la risposta meridionale all’Expouniversale di Milano dei due giovani salentini, Antonio Monaco e Daniele Chirico.

domenica 8 marzo 2015



La nuova frontiera del Filler


Negli ultimi tre anni sta prepotentemente prendendo posto l’idrossiapatite di calcio, il filler più utilizzato negli Stati Uniti che al tempo stesso è un riempitivo ed un biostimolante, in quanto capace di stimolare i fibroblasti alla neo sintesi di collagene


I fillers sono sostanze riempitive utilizzate principalmente per il trattamento delle rughe cutanee, delle cicatrici infossate o anche per l’aumento dei volumi delle labbra, degli zigomi e delle guance. La nuova frontiera dei filler riguarda il loro utilizzo: non più piccoli ritocchi limitati alle labbra ed alle rughe più profonde ma ridare al viso un aspetto naturalmente giovanile ed un’armoniosa bellezza. Il chirurgo plastico pertanto, dopo un attento studio dell’anatomia e della dinamica espressiva di un viso può effettuare applicazioni differenziate con l’obiettivo di riempire le rughe, ridefinire i contorni dell’ovale, ripristinare i volumi, ridare tensione, turgore ed idratazione alla pelle.
I protocolli sono fortemente personalizzati, differenti da paziente a paziente sia nell’obiettivo da raggiungere sia nella quantità di prodotti da utilizzare. Il principale filler di sintesi oggi utilizzato è l’acido ialuronico. Si tratta di un gel visco-elastico derivato da un polimero naturale dell’acido ialuronico, prodotto per sintesi batterica e crosslincato, in genere, con BDDE (1,4 butanediol diglycidyl Ether ) che ha la funzione di legare le una alle altre le molecole di acido ialuronico in modo da renderlo meno aggredibile dagli enzimi ialuronidasi e quindi rimanere più a lungo nel sito di impianto. Poiché questo è un normale componente polisaccaridico dei tessuti non si verificano reazioni allergiche al materiale quando viene iniettato per la correzione di inestetismi.

martedì 3 marzo 2015



Scritto da Marta Albè
biologico pesticidi studioIl consumo di prodotti alimentari biologici riduce in modo significativo l'esposizione ai pesticidi. Un vantaggio di cui il settore dovrebbe tenere conto per rendere più popolari i propri prodotti tra i consumatori che sono molto attenti alla salute quando cucinano e fanno la spesa.
Un nuovo studio ha messo a confronto i tradizionali test dell'urina per la rilevazione dell'esposizione ai pesticidi con il contenuto della dieta attuale. I risultati rafforzano l'idea che gli alimenti bio siano benefici per la salute nel ridurre il rischio di accumulo di pesticidi nell'organismo.

domenica 1 marzo 2015

In peperoncino segreto antiobesità,è molecola gusto piccante

Aumenta metabolismo grassi come esercizio fisico

 


 Peperoncino
Mangiare piccante per dimagrire? E' il suggerimento che si coglie da una ricerca svolta presso la University of Wyoming secondo cui l'ingrediente principale del peperoncino (la capsaicina, che è la molecola responsabile dell'effetto piccante) potrebbe aiutare a perdere peso, attivando il metabolismo, in particolare attivando gli interruttori molecolari 'brucia-grasso'.

Diretta da Vivek Krishnan, la ricerca è stata presentata al meeting annuale della Biophysical Society in Usa.

Gli esperti hanno somministrato un 'pizzico' di capsaicina a topi alimentati con una dieta esageratamente ricca di grassi, destinati quindi ad ingrassare. Ma la capsaicina blocca l'aumento di peso degli animali, senza modificare il loro introito calorico. Insomma gli animali non prendono peso e non perché inizino a mangiare meno; non dicono di no ai grassi loro offerti, ma sembrano protetti dalle conseguenze del consumo smodato di queste sostanze.

L'ipotesi dei ricercatori è che la capsaicina aumenti il metabolismo potenziando l'attività naturale del corpo di bruciare i grassi trasformando l'energia rilasciata in calore; un po' come avviene quando si fa sport, insomma.

Al momento i ricercatori stanno lavorando a una ''capsula'' di capsaicina, ovvero una nanoparticella che rilasci capsaicina.

Questa potrebbe portare allo sviluppo di un nuovo supplemento dietetico per prevenire e curare l'obesità.